Il Rapporto Italia 2010 presentato da Eurispes a fine gennaio, evidenzia la crescita del consumo interno lordo di energia da fonti rinnovabili. Nel confronto con gli altri paesi europei, l’Italia si posiziona al quinto posto per consumo di energia da fonti rinnovabili, con un’incidenza di poco superiore all’8% sul dato complessivo europeo”.

L’energia geotermica è la principale fonte di energie pulite in Italia, seguita rispettivamente dall’energia prodotta da biomasse e rifiuti, dall’energia idrica, energia eolica e in ultimo dall’energia solare.

Il giro di affari italiano proveniente dalla Green Economy (energie rinnovabili, prodotti biologici, commercio equo & solidale e finanza etica) quantificato dall’analisi Eurispes ha raggiunto i 10 miliardi di euro.

Una realtà che potrebbe rappresentare il motore per rilanciare l’economia e creare nuovi posti di lavoro, trasformandosi da fenomeno marginale in tendenza sempre più globale, in grado di contribuire in maniera significativa allo sviluppo economico.
Nel clima di entusiasmo generale, spiccano, però, alcune voci fuori dal coro, come quella dell’imprenditore Sergio Lupi, presidente di un’azienda che produce arredamento e attrezzature per la GDO interamente realizzate in materiali riciclati: “Si potrebbe essere indotti a credere che in Italia la Green Economy abbia fatto un salto di qualità, io, invece, penso che i 10 miliardi di Euro generati complessivamente dalla Green Economy siano un risultato accettabile solo se ci si accontenta. Si potrebbe fare molto di più”.
“A livello istituzionale, manca una chiara politica a sostegno delle imprese che investono in produzioni sostenibili e di impulso agli Acquisti Verdi della Pubblica Amministrazione,” prosegue Lupi. “Tutti dovrebbero puntare alla sostenibilità. La realtà dei fatti, però, indica che sinora non siamo andati oltre qualche esempio piccolo e isolato”.
Le carenze istituzionali preoccupano anche le associazioni di categoria del comparto rinnovabili che hanno accolto con preoccupazione la direttiva del GSE che prevede una drastica riduzione del valore dei certificati verdi a partire dal 2013.

Se, poi, trovassero conferma i dati contenuti nel comunicato del GSE del 25 gennaio, anche il segmento Fotovoltaico, uno dei pochi che abbia evidenziato una significativa crescita costante negli ultimi anni, sarebbe al capolinea. L’intero comparto delle energie rinnovabili in Italia, insomma, evidenzia l’endemica incapacità di programmazione del Paese.

Indiscutibilmente l’ultimo trimestre 2010 ha visto un’impennata nelle installazioni del fotovoltaico italiano. Stime ritenute attendibili solo un mese fa parlavano di 1.900 MW installati nel 2010 con la previsione di raggiungere a fine 2011 quota 3,9 GW. Dati che rendevano l’Italia uno dei mercati più attraenti per il fotovoltaico anche per le minori riduzioni degli incentivi rispetto a mercati come quello spagnolo, tedesco, ceco e francese.
Scenario completamente stravolto dopo la diffusione del comunicato stampa del GSE del 25 gennaio nel quale si afferma che gli obiettivi di sviluppo del fotovoltaico in relazione al Protocollo di Kyoto, 8 mila Mw di fotovoltaico operativi nel 2020, siano stati quasi raggiunti con ben 9 anni di anticipo.
Ancora una volta, una notizia in apparenza positiva, nasconde gravi problemi di gestione, controllo e programmazione. Lo scorso dicembre sono state avanzate richieste di incentivi per 55.000 nuovi impianti, per un totale di 4.000 MW. Un’accelerazione anomala e sospetta per intascare un contributo più alto. I primi controlli hanno evidenziato casi di vera e propria truffa, come nel caso dell’impianto di 8 MW in Puglia con un numero di pannelli installati appena sufficiente a generare 40 kW. Le false dichiarazioni abbondano. Un fenomeno probabilmente intrecciato con le infiltrazioni, anche nel settore rinnovabili, di cosche malavitose e mafiose. Nel corso del 2010, infatti, l’antimafia ha messo i sigilli a beni mobili, immobili, aziendali, quote societarie e capitali per un valore di oltre 2 miliardi e 375 milioni di euro soltanto in Sicilia. Tra i beni sequestrati assumono particolare rilevanza quelli riconducibili al settore eolico e del fotovoltaico.

Basterebbero pochi rigorosi controlli per evitare il proliferare di aree grigie di malaffare e di truffa che allontanano i flussi finanziari internazionali. Le conseguenze potrebbero essere disastrose in un clima economico già difficile, con ripercussioni negative anche sul fronte occupazionale in uno dei pochi settori vivi dell’economia italiana.

Come al solito alle buone intenzioni non corrispondono i fatti e si percepisce la mancanza di una politica industriale chiara e l’estrema facilità nell’aggirare le normative per una carenza di controlli realmente utili e seri. Nessuno, per esempio, si è posto la domanda se siano arrivati realmente nel nostro paese i pannelli fotovoltaici necessari a realizzare i 7 gigawatt dichiarati al GSE.

Sarebbe auspicabile anche un’indagine conoscitiva per capire se sia corretto l’operato di Enel che ricopre tre ruoli differenti, essendo al contempo l’azienda alla quale è demandata la connessione in rete degli impianti, che in gran parte produce grazie alla posizione di operatore privilegiato, e ha recentemente attivato una campagna di sollecitazione al risparmio tramite un fondo controllato direttamente. Una posizione dominante sulla quale l’antitrust dovrebbe (potrebbe) pronunciarsi. Appare evidente, comunque, come l’attivismo di Enel nel segmento delle energie rinnovabili strida con l’impegno diretto dell’azienda in una campagna a favore della rinascita del nucleare in Italia.

Infine, mentre nel Mondo crescono i consumi di prodotti da agricoltura biologica, l’Italia, che è stata per molti anni il primo Paese per superficie agricola destinata ai prodotti biologici, è stata quasi raggiunta dalla Germania e addirittura superata dalla Spagna. Entrambe le nazioni hanno registrato negli anni crescite costanti delle aree destinate al biologico e oggi possono godere i maggiori benefici di un trend in forte crescita. In molte zone rurali del nostro paese, invece, si parla di allarme sul fotovoltaico selvaggio, con intere aree agricole invase da pannelli fotovoltaici installati senza alcuna ottimizzazione per soddisfare meri interessi speculativi.

Andrea Fontana

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