In occasione del 25 aprile, ripropongo il mio editoriale per Habitami pubblicato il 19 aprile scorso.

Il risultato del referendum maldestramente denominato NoTriv è chiaro. La sconfitta del fronte del sì, inequivocabile. La competizione prevedeva fin dall’inizio che occorresse convincere il 50%+1 degli aventi diritto a recarsi alle urne. Siamo stati poco più del 31%, quindi abbiamo perso.
Fossimo stati il 48% sarei incazzato. Questo risultato, invece, mi amareggia, non tanto per le conseguenze pratiche che, come ho sottolineato più volte, non spostano di una virgola i problemi relativi al nostro fabbisogno energetico, quanto perché ancora una volta la maggioranza (il 69% che è rimasto a casa) non ha capito che sulle questioni energetiche ci giochiamo buona parte del futuro. Per questo sarebbe opportuno informarsi ed esprimersi. Mi sento deluso anche se è evidente che il futuro sarà delle fonti rinnovabili e non di quelle fossili (lo ha riconosciuto perfino Renzi), ma il punto sono i tempi di questa transizione e le modalità con cui verrà praticata. Come scrive oggi Antonio Ciancullo su Repubblica.it
“Il punto è che dal 2014 ci siamo mangiati buona parte dei vantaggi energetici che avevamo accumulato. Sul fotovoltaico appena arrivati in cima alla classifica abbiamo cominciato a perdere colpi. Migliaia di posti di lavoro nelle rinnovabili sono andati in fumo. L’annunciato green act è come l’araba fenice: invisibile da due anni”.
Non sono questioni tecniche, i decreti attuativi lo sono, la filosofia che dovrebbe ispirarli ha il medesimo valore civile e politico della scelta tra monarchia e democrazia, tra favorevoli e contrari al divorzio.
Ecco quello che mi ferisce di più è che abbia vinto il menefreghismo. Nel 2012 scrivevo: “Non essere informati non è più
una scusa accettabile. Se vogliamo provare a cambiare qualcosa non possiamo più chiudere gli occhi e continuare a delegare firmando assegni in bianco. Alberto Bertuzzi, il “difensore civico” scomparso ormai venticinque anni fa, ricordava che la differenza tra un suddito e un cittadino è semplice. Il suddito non sa, mentre il cittadino sa come difendere i propri diritti, ovviamente nell’osservanza dei propri doveri e invitava a dubitare, disobbedire e combattere”.
Quest’anno per spiegare a mia figlia, da poco maggiorenne, perché fosse giusto andare a votare mi sono fatto aiutare dalla famosa canzone di Giorgio Gaber che ricorda come il termine libertà debba essere coniugato con partecipazione. Oggi alla luce dei questo deludente risultato mi appiglio a un’altra canzone, questa volta di Fabrizio De André, in una versione poco nota e, ai tempi, censurata. Alcuni passaggi del testo, mi sembra, si adattino perfettamente alla situazione. Li ho evidenziati in neretto.

Anche se il nostro maggio (in questo caso aprile)
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto guardare in terra
se avete deciso in fretta
che non era la vostra guerra
voi non avete fermato il vento
gli avete fatto perdere tempo.

E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
voi siete stati lo strumento
per farci perdere un sacco di tempo
.

Se avete lasciato fare
ai professionisti dei manganelli
per liberarvi di noi canaglie
di noi teppisti di noi ribelli
lasciandoci in buonafede
sanguinare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
se sono rimasti a posto
perfino i sassi nei vostri viali
se avete preso per buone
le “verità” dei vostri giornali
non vi è rimasto nessun argomento
per farci ancora perdere tempo.

Lo conosciamo bene
il vostro finto progresso
il vostro comandamento
“Ama il consumo come te stesso

e se voi lo avete osservato
fino ad assolvere chi ci ha sparato
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
voi non potete fermare il vento
gli fate solo perdere tempo
.