di Mario Agostinelli – Strana città Montreal. Un po’ New York con però tutti grattacieli cuspidati (missili puntati?), un po’ England con le pietre e mattonelle rosse che si infilano tra le chiese di arenaria, un po’ Alsazia per il neo gotico grigio delle cattedrali (numerosissime), un po’ Buenos Aires per i frequentissimi murales che trovi in ogni spazio pubblico, un po’ Oslo per il retroterra verde collinoso tutto boschi e un po’ Genova per il porto e le locande sul mare e tra i pontili.
Qui il Forum Sociale Mondiale sta giocando una sfida generazionale e geografica importante. Rimane tuttora la riunione più ampia di società civile che cerchi soluzioni di giustizia all’emergenza e all’incertezza di un futuro migliore per la nostra specie. Dal primo Forum (2001) a Porto Alegre a oggi le speranze si sono affievolite soprattutto in termini di rapporti di forza, ma, fortunatamente, la consapevolezza della crisi del modello di crescita distruttiva è aumentata e gli obbiettivi dei movimenti sono meno generali e più alla portata dell’esperienza quotidiana e delle lotte territoriali. Quel che è rimasto del precedente FSM a guida brasiliano-francese – progettato e vissuto come contrappunto alternativo al neoliberismo di Davos e come forza spendibile per il cambiamento a livello globale anche in relazione alla crescita dei BRICS – si sposta nel “centro dell’Impero”, punta anche sulle novità politiche e intellettuali del Nord del mondo, cambia la gerarchia degli slogan e della comunicazione.
In testa nettamente il clima, lo spreco di energie fossili e le nuove tecnologie di estrazione, il diritto all’emigrazione e l’abolizione delle barriere ai diritti umani, la minaccia nucleare e il diritto della pace. L’uguaglianza sociale e la lotta al capitalismo e alla rapina del liberismo sono coniugate attraverso queste lenti. Gli slogan multicolori trascinati cantando per il corteo di apertura il 9 Agosto alludevano quasi esclusivamente a questi temi.
Buon segno: significa aggiornare un progetto ambientale politico sociale nato a inizio millennio, rispetto alle emergenze che l’attaccamento al contingente, al parziale, al presente tout court della classe dirigente mondiale, impedisce di affrontare, per non dover spostare il dibattito politico sociale dalla continuità dell’economia dominante al futuro che viene a mancare. Così come è buon segno il cambio di testimone generazionale avvenuto in un luogo mai sfiorato prima dal Forum: la gioventù canadese e statunitense, presente in massa e con creativa allegria al corteo, ha sfilato per oltre un’ora, mescolata ai più anziani fondatori di Porto Alegre, Mumbay, Bamakò, Nairobi, che procedevano un po’ affaticati dal sole radente, ma sorridenti e applauditi.
Per consolidata esperienza sindacale potrei dare i numeri del grande corteo di apertura che si è snodato lungo le ampie circolari fino alla piazza Centrale di Montreal: 20 per fila, una sfilata di 100 minuti abbondanti, 12 file al minuto + almeno la metà dei manifestanti a scorrere e attendere a fianco del percorso fanno 40.000 circa. Alla fine, in piazza, durante i concerti di 12 bands fino a mezzanotte, si alterneranno 50.000 spettatori. Insisto: i presenti erano quasi tutti giovani sui 20 anni (più ragazze che ragazzi e molte unite in gruppi femministi) mentre era completamente svanita la generazione tra i 35 e i 55 anni, non certo rimpiazzati dai resistenti over 60. Dal punto di vista della provenienza: italiani da contarsi sulle dita di una mano, tedeschi forse una cinquantina, un centinaio di francesi organizzati e visibili, gruppi folti di giovani brasiliani contro il golpe presidenziale, africani, profughi di guerra siriani e somali, molte presenze di chiese locali e una folta delegazione del consiglio mondiale dei missionari comboniani. Rappresentanti politici nessuno.